CATANIA LILLO

 

 

 

CANZONI DEL REPERTORIO DI FRANCESCO GIUNTA

A JATTA

COLA SCALIAVA LA CALIA

E SEMU CCA

IU CA HAIU A ATIA

OMAGGIO A ROSA BALISTRERI

OMAGGIO A ROSA BALISTRERI

LI VARCHI A MARI LIVE (live in un concerto a Licata)

LI VARCHI A MARI LIVE (live in un concerto a Licata)

QUANTA GUERRA

S'AVISSI STATU RICCU


SULI CHI SPACCHI LIVE IN UN CONCERTO A LICATA

TANUZZU OMU DI PACI LIVE

TERRA SENZA POESIA

TROPPU VERY WELL LIVE IN UN CONCERTO A LICATA

S'AVISSI STATU RICCU

U PANARU FORA USU LIVE IN UN CONCERTO A LICATA

U CASSARU LIVE IN UN CONCERTO A LICATA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Francesco Giunta

A quattordici anni, i tempi della sua prima chitarra, per Francesco Giunta la musica era un modo di essere qualcun altro, altrove. «Comincio a scrivere da autodidatta pensando a quei tre, quattro cantautori che hanno fatto la storia. Fabrizio De André su tutti: sarebbe bastato solo lui a giustificare l' esistenza della canzone d'autore in Italia. Ma dopo un centinaio di brani composti in italiano e la sensazione di cantare cose già cantate, dopo un disco in vinile che non avrei voluto mai fare e la classica fregatura in cui ci s' imbatte quando sei agli inizi, succede qualcosa. E la mia vita cambia». La storia di Giunta, classe '52, tecnico Enel per vent' anni, oggi produttore delle edizioni musicali Teatro del Sole, ieri cantautore nella Palermo degli anni Settanta - quando, ricorda, «giravano gruppi straordinari senza uno straccio di possibilità di pubblicare, chitarristi eccellenti come Tobia Vaccaro e Mimmo La Mantia e la scena musicale era in balia di se stessa» - è la vicenda di un incontro fatale e di un cambiamento di direzione. La forza di aiutare altri musicisti a non incappare in false promesse e nella scarsa professionalità di sedicenti produttori. Il coraggio di diffondere musica che fosse «sua». Nostra. Da generazioni. Il dialetto, i canti, la vita dell' Isola, con l' aiuto di compagni di viaggio appassionati: Giuseppe Cusumano, Giuseppe Greco, Francesco Buzzurro e l' attuale moglie, Maria Elena. La svolta, l' incontro, arriva nella prima metà degli anni Ottanta. Francesco s' imbatte in una leggenda in carne, ossa e voce, e capisce che sì: scrivere in italiano era proprio come fare qualcosa che era già stato inventato. «Rosa Balistreri viveva qui in città, a Villa Tasca. Le feci ascoltare qualcosa che avevo scritto in dialetto nella speranza che si convincesse a cantarla. Mi tenne a casa sua, a sgolarmi per un' ora e mezza. "Rifammi questo, fammi risentire quest' altro". Alla fine capii che lei non avrebbe interpretato niente di mio. "Le tue cose, le devi cantare tu" concluse. "Primo, perché lo fai bene. Secondo, perché se le canto io, quando Rosa muore nessun altro lo farà più". Me ne andai indispettito: non avevo concluso granché. Tardai ad accorgermi della bellezza e della profondità di quelle parole. Nel '90, però, incisi "Li varchi a mari", il mio primo disco in dialetto. In settembre, Rosa moriva. Inserii nell' incisione una ninna nanna che avevo scritto proprio nella notte in cui ci lasciava. Da quel momento, mi impegnai non solo a pubblicare tutto ciò che di pubblicabile c'era nella nostra tradizione musicale, ma anche la discografia della Balistreri per intero. E Teatro del Sole, oggi unica etichetta indipendente di musica tradizionale in Sicilia, mantenne fede a quell' impegno: otto dischi di Rosa, ne manca solo uno». Sette, invece, i fratelli di Giunta («come la sporca dozzina di Charles Bronson - scherza Francesco - anche se loro erano in dodici») e due i figli nati dal suo primo matrimonio: Greta ed Ernesto. Quest' ultimo suona la chitarra e segue il consiglio del padre: «Lasciare integro quel tratto di "primitività" da autodidatta. L' amore viscerale per le cose che fai e che ascolti. I miei genitori - continua Giunta - Ernesto e Ninnella non hanno mai avuto a che fare con la musica. Ma mio padre mi ha trasmesso la voglia di ascoltarla. Ed è una forza contagiosa». La stessa forza, probabilmente, che ha fatto in modo che tra Francesco e il maestro Ennio Morricone nascesse un' intesa silenziosa, dichiarata solo alla fine del loro breve incontro. «Morricone? Fu un' esperienza coinvolgente e sconvolgente al tempo stesso per una piccola etichetta indipendente come la nostra. Lui aveva scritto un ri-arrangiamento dell' Ave Maria tradizionale sarda per Clara Murtas. E a noi l' onore di pubblicarla. Lavorare con un mostro sacro del suo calibro, registrare con la sua orchestra, la Sinfonietta, a Roma~ come dimenticarlo? Morricone è una persona molto attenta. Straordinario con i musicisti, freddo e formale con chi, come avevo fatto io di primo acchito, si presenta in veste di produttore. Quando gli ho rivelato che cosa facevo in realtà, che suonavo, si è sciolto: tutta un' altra persona. Poi, lui adora Rosa Balistreri». Francesco Giunta di accende una sigaretta. Ha dita agili, le unghie della mano destra lasciate a crescere e ad affilarsi, come si conviene a chi carezza e tormenta la chitarra. E un' idea ben precisa sul ruolo che Palermo potrebbe assumere nel panorama musicale. è dal disagio che nasce la creatività, e, nel caso di musica e musicisti, il confronto con Catania è d' obbligo: «All' ombra dell' Etna, per ragioni storiche che vanno al di là del fatto musicale puro e semplice, si è sempre portato avanti il sogno di creare una sorta di Milano del sud. Questo ha influito anche sull' arte. Il prodotto musicale catanese è certamente mirato, non dico al commercio ma al prodotto che possa essere diffuso nei canali commerciali. A Palermo, invece, continua a esserci una certa voglia di sperimentazione e di ricerca che, in un certo senso, se ne frega del commercio. Forse la chiave sta proprio nell' impasse perenne di questa nostra città. Che costringe chi opera in ambito artistico e culturale a tentare di "smuovere" tutto ciò che è fermo. Quasi per contrappasso». La nota più originale per «suonare» la città potrebbe essere quella in cui Giunta ha creduto e continua a credere: un rapporto sereno tra recupero della memoria e prospettive future che non sia condannato alla cristallizzazione del passato, né sottoposto alle mode transitorie. «Lavorare con la tradizione musicale è anche un modo di viaggiare, annusare, conoscere la nostra Isola - prosegue - Non è solo piazzare un registratore e incidere. A Marineo, oltre a "catturare" i canti sacri, ci ritrovammo ogni giorno a mangiare e bere da mezzanotte alle sei del mattino; in ogni casa, porte e cucine aperte, "pani, alive e vinu", come si usa da quelle parti, da secoli, per accogliere i cantori della settimana di Passione. Altra cosa è scrivere romanzi». Già. Perché Giunta è incappato anche in questo. Il giallo creato a sei mani si chiama "Volto di pietra", i coautori Lidia Sole e Silvio Vitellaro. Il tutto racchiuso in un unico nome, Sal Cappalonga, per i tipi di Dario Flaccovio. «Scrivere una storia in gruppo - spiega il musicista - mi ha riportato ai tempi in cui si faceva notte con gli strumenti. Uno buttava lì un' idea, un altro un fraseggio. Il fatto è che non so proprio stare con le mani in mano». Tra i programmi del Teatro del Sole, la ripubblicazione dei documenti del Folkstudio di Palermo, dodici vinile che hanno fatto epoca e che altrimenti andrebbero perduti. Sulle labbra di Giunta una massima di vita, a mo' di commiato: «Per sintetizzare le cose che ho fatto e che sto ancora facendo, forse vale il titolo di uno dei miei lavori da cantautore: "E semu 'cca' "». Chissà: forse lo stesso atteggiamento semplice e appassionato che qualche anno fa, una notte, in Toscana, dove Giunta presentò "Per terre assai lontane" - suite dedicata al viaggio di Colombo e degli emigranti siciliani in America - ha fatto urlare a un ragazzo del pubblico: «Oh! Non ci ho capito un cazzo, ma è stato bellissimo!».

 

 

 CATANIA LILLO

 

 

 

CANZONI

A ME VITA filmato

E CANTU E CANTU filmato

CANTU PI DIRI filmato

UNU, DU' E TRI filmato

VIAGGIU O 'NFERNU filmato

 

Quattro anni con Rosa Balistreri di Lillo Catania

Sono un professore con la passione per la musica e la poesia. Ho scritto decine di testi in vernacolo e in italiano e alcuni di essi li ho anche musicati. Ho collaborato con la nota cantante folk Rosa Balistreri e sono nate delle splendide canzoni, oggi riscoperte ed apprezzate. Una di esse, "Quann'iu moru", è nota a livello internazionale e cantata da moltissimi artisti. Ma la mia passione per la scrittura non si ferma ai testi poetici o cantati, il 15/03/2008 ho presentato il mio primo libro "Il voto non conta", primo di una lunga serie (così spero) di pubblicazioni. Amo cantare e interpretare le mie canzoni.
tratto dal blog d Lillo Catania: http://blog.libero.it/lillocatania/

 

 

 

 

 

 

 

 

 CATANIA LILLO

 

 

 

CANZONI

A ME VITA 

 

 

A ME VITA
parole, musica e voce di Lillo Catania

Quann’era picciridda cu me patri
mi’ni jva a fari spichi,
e mi ricordu ca lu suvrastanti,
ruffianu du patruni,
‘ni mannava all’istanti.
Patri miu! Ora ca ti putissi addifinniri,
di pani ed acqua ‘chiù nun pò campari
e li gammuzzi mia chini di sangu,
nill’occhi ti purtasti ‘o campusantu.

Quann’era picciridda m’allisciava
li capiddi a matri mia,
e mi parlava di li cosi tinti,
ca ponnu capitari, a li ‘nuccenti.

Figlia mia, lu sangu è sangu
e nun si po’ tradiri
ma l’omu è tintu e nun si fa scupriri,
a spisi tua sulu po’ ‘mparari
ca l’omu è farsu ‘nsinu nill’amuri.

Crisciennu ni la vita mi trovai
maritata a un tradituri,
dudici aborti e cu figlia ranni,
di corpu mi lassò ‘nmenzu la strata.

Matri mia! Lu sacciu matri
chi vuliatu diri
ma sulu ora ti pozzu capiri,
lu sacciu mi vuliatu sarvari
ma a vita è chista e nun si pò scappari.

Di ferru su li cordi da chitarra
ca m’aiutanu a cantari,
mi fannu cantari contra i cosi storti,
li guai di la genti,
contra tutti i prepotenti.
Chitarra mia!
Tu sula sai quantu aju chiantu,
ca l’omu giustu m’ha mancatu tantu,
tu sula si’ l’amanti, amica e patri,
tu sula ha la ducizza di ‘na matri.

                                                                                                                                            

LA MIA VITA

Quand’ero piccolina con mio padre
me ne andavo a spigolare
e mi ricordo che il sovrastante,
ruffiano del padrone,
ci mandava all’istante.
Padre mio! Ora che ti potrei difendere,
di pane ed acqua non puoi più vivere
e le gambette mie piene di sangue,
negli occhi ti sei portato al camposanto.

Quand’ero piccolina mi lisciava
i capelli la madre mia,
e mi parlava delle cose brutte che possono capitare, agli innocenti.

Figlia mia, il sangue è sangue
e non si può tradire
ma l’uomo è cattivo e non si fa scoprire,
a spese tue solo puoi imparare
che egli è falso persino nell’amore.

Crescendo nella vita mi trovai sposata
a un traditore,
dodici aborti e una figlia grande,
di colpo mi lasciò in mezzo la strada.
Madre mia! Lo so madre che volevi dire
ma solo ora ti posso capire,
lo so mi volevi salvare
ma la vita è questa e non si può scappare.

Di ferro sono le corde della chitarra
che m’aiutano a cantare,
mi fan cantare contro le cose storte,
li guai della gente,
contro tutti i prepotenti.
Chitarra mia! 
Tu sola sai quanto ho pianto,
chè l’uomo giusto mi è mancato tanto,
tu sola sei l’amante, amica e padre,
tu sola hai la dolcezza di una madre.

ascolta l'interpretazione di Rosa Balistreri

 

 CATANIA LILLO

 

 

 

CANZONI

CANTU PI' DIRI

 

 

CANTU PI' DIRI
parole, musica e voce di Lillo Catania

Si a milli, a milli m’hannu cunnannatu
a milli, a milli s’annu a vriugnari,
nun cantu pi tri sordi o pi’ piaciri,
iu cantu picchì haju soccu diri.
A li picciotti di tuttu lu munnu
ci dicu di ìmpignarisi ad amari,
e l’omu farsu avitilu a scansari
picchì è chiddu ca voli sfruttari.
A cu di tempi antichi va parlannu,
diciticcillu ca c’era schiavismu
li ricchi n’un niscivanu da tana
a travagghiari i figli di buttana.
Si a milli, a milli m’hannu cunnannatu
a milli, a milli s’annu a vriugnari,
nun cantu pi tri sordi o pi’ piaciri,
iu cantu picchì haju soccu diri.
E dicu a tutti i fimmini du munnu:
“Facitivilla bona la famiglia,
tinitivi pulita la cuscenza
tincitila di rosa a vostra vita.
A chiddi ca vi parlanu di Diu
diciticcillu ca vui ci criditi,
ma ‘u ‘ne lu stissu Diu di patruna
ma chiddu di la genti senza luna.”
Si sti’ paroli nun ti dannu paci
e abbruscianu la menti e la sustanza
miseria ni sta terra ci ‘ne tanta,
picchì? critichi la vuci mia chi canta.

                                                                                                                                                                            

CANTO PER DIRE

Se a mille, a mille m’hanno condannato
a mille, a mille devono vergognarsi,
non canto per tre soldi o per piacere,
io canto perchè ho tanto da dire.
Ai ragazzi di tutto il mondo
io dico di impegnarsi nell’amore,
e l’uomo falso cercate di scansare
perché è quello che vuole sfruttare.
A chi dei tempi antichi va parlando,
diteglielo che c’era schiavismo
i ricchi non uscivano dalla tana,
a lavorare i figli di puttana.
Se a mille, a mille m’hanno condannataa mille,
a mille devono vergognarsi,
non canto per tre soldi o per piacere,
io canto perchè ho di che dire.
E dico a tutte le donne del mondo:
“Fatevi una buona famiglia,
tenete pulita la coscienza
tingetela di rosa la vostra vita.
A quelli che vi parlano di Dio
diteglielo che voi ci credete,
ma non è lo stesso Dio dei padroni
ma quello della gente senza luna.”
Se queste parole non ti danno pace
e bruciano la mente e la sostanza
miseria nella terra ce ne tanta,
perchè? critichi la voci mia che canta.

                                                                                                                                                  

ascolta l'interpretazione di Rosa Balistreri

 

 CATANIA LILLO

 

 

 

CANZONI

E CANTU E CANTU

 

 

E CANTU E CANTU
parole, musica e voce di Lillo Catania

E cantu, e cantu, e cantu
stori’ tristi di la me terra
stori’ d’amuri e di spartenza
stori’ d’inganni e di viulenza.

E m’arritrovu quannu carusa
m’assicutava la fami pi strati
e si mangiava di cursa e a lu scuru
e si durmiva intra un lettu duru.

Cantu la storia di ‘na carusa
ca intra a chiesa parlava cu i santi
e ci diceva: “Madonna duci
fanni mangiari stasira ca luci.

Fammi purtari li to cannili
ca tu n’ha tanti a li to pedi…”
e aspittannu lu sì di li Santi
di ddi cannili si n’arrubò tanti.

E cantu, e cantu, e cantu
mentri ammeci vulissi durmiri
e pi ‘nsunnari la vita pinsata
e pi truvarici d’essiri amata.

E m’arritrovu in Cuntinenti
cu li guai stampati nill’occhi
sula, sulidda, abbannunata
chi mala sorti di emigrata.

E trovu a iddu ca mi talia
e mi piglia cuntentu pa manu
povera Rosa non era distinu
mancu cu chistu po’ jri luntanu.

E cantu, e cantu, e cantu
chisti tempi su tutti passati
ma si ci pensu lu cori mi chianci
lacrimi grossi comu l’aranci.

                                                                                                                                            

E CANTO E CANTO

 

E canto, e canto, e canto
storie tristi della mia terra
storie d’amore e di abbandoni
storie d’inganni e di violenza.

E mi ritrovo quando ragazzina
mi rincorreva la fame per le strade
e si mangiava di corsa e al buio
e si dormiva sopra un letto duro.

Canto la storia di una ragazzina
che dentro la chiesa parlava con i santi
e diceva: “Madonna dolce
facci mangiare stasera con la luce.

Fammi portare le tue candele
ché tu ne hai tante ai tuoi piedi…”
e aspettando il sì dei Santi
di quelle candele se ne rubò tante.

E canto, e canto, e canto
mentre invece vorrei dormire
e per sognare la vita desiderata
e per trovarci d’essere amata.

E mi ritrovo in Continente
Con i guai stampati negli occhi
sola, troppo sola, abbandonata
che mala sorte di emigrata.

E trovo lui che mi guarda
e mi piglia contento per mano
povera Rosa non era destino
neanche con questo puoi andare lontano.

E canto, e canto, e canto

questi tempi sono tutti passati
ma se ci penso il cuore mi piange
lacrime grosse come le arance.

                                                                                                                                                  

 

 CATANIA LILLO

 

 

 

CANZONI

UNU, DU' E TRI

 

 

UNU, DU' E TRI
parole, musica e voce di Lillo Catania

Unu, du e tri, nun si campa d’accussi,
quattru, cincu e sei,
nun canciati li banneri
setti, ottu e novi, s’un truvati li paroli
vui mittitivi d’impegnu
c’havi cadiri u guvernu.

Diputatu voli u votu?
Si scurdau du tirrimotu,
nui mangiamu pani e sardi,
vi futtistivu i miliardi,
vi facistivu lu cuntu
di truvari a stessa genti
di truvari la ‘gnoranza
pi inghirivi la panza.

Unu, du e tri, nun si campa d’acussi,
quattru, cincu e sei,
nun canciati li banneri
setti, ottu e novi,
nun ci vonnu cchiù paroli
vui mittitivi d’impegnu,
c’havi a cadiri u guvernu.

Sinaturi quali ‘mpegnu
mantinistivu o guvernu,
vi pigliastivu l’appaltu
di la mangiaria a sbaffu,
vi favistivu lu cuntu,
di truvari a stessa genti,
di truvari picuruna,
pi futtirivi i miliuna.

Unu, du e tri, nun si campa d’acussi,
quattru, cincu e sei,
nun canciati li banneri
setti, ottu e novi,
nun ci vonnu cchiù paroli
vui mittitivi d’impegnu
c’havi a cadiri u guvernu.

                                                                                                                                                                            

 
UNO, DUE E TRE

 

Uno, due e tre, non si vive più così,
quattro, cinque e sei,

non cambiate le bandiere
sette, otto e nove,
se non trovate le parole
voi mettetevi d’impegno
che deve cadere il governo.

Deputato vuole il voto?
Si è scordato il terremoto,
noi mangiamo pane e sarde,
vi siete fottuti i miliardi,
vi siete fatti il conto
di trovare la stessa gente
di trovare l‘ignoranza
per riempirvi la pancia.

Uno, due e tre, non si vive più così,
quattro, cinque e sei,
non cambiate le bandiere
sette, otto e nove, se non trovate le parole
voi mettetevi d’impegno
che deve cadere il governo.

Senatore quale impegno
avete preso nel governo,
avete preso l’appalto
del mangiare a sbafo,
vi siete fatti il conto
di trovare la stessa gente,
di trovare pecoroni,
per fottervi i milioni.

Uno, due e tre, non si vive più così,
quattro, cinque e sei,
non cambiate le bandiere
sette, otto e nove, se non trovate le parole
voi mettetevi d’impegno
che deve cadere il governo.

                                                                                                                                                  

ascolta l'interpretazione di Rosa Balistreri