SUTERALa chiazza di lu Rabatu è lu mari,
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Questa interpretazione della canzone "Sutyera" è stata cantata da Nonò Salamone il 5 agosto 2016 nella Manonifestazione "Il Rabato incontra il mondo" festival dell'acvcoglienza delle culture e degli ioncontri.Nicolò La Perna
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LU CELU E' NA CUPERTA ARRACCAMATA
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LAMENTU DI UN SERVU
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In questo antico canto siciliano un servo si rivolge a Cristo, dicendogli di essere
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Turi Scordu, surfararu, abitanti a Mazzarinu;
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Salvatore Scordo - per chi conosce anche sommariamente la letteratura dei cantastorie siciliani sarebbe del tutto inutile ricordarlo - è il povero emigrante di Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, che Ignazio Buttitta ha reso protagonista di "Lu trenu di lu suli"; opera che, assieme al "Lamentu pi Turiddu Carnivali", rappresenta in assoluto la pagina poetica più alta che il grande poeta di Bagheria abbia affidato alla voce di Cicciu Busacca e, quindi, successivamente, a quella di altri cantastorie siciliani come Santangelo, Salamone, Sindoni, Rosa Balistreri. In "Lu trenu di lu suli" Buttitta fa diventare poesia il dramma realmente vissuto da Salvatore Scordo, minatore siciliano costretto a emigrare in Belgio e sepolto dalle macerie della miniera carbonifera di Marcinelle presso la quale lavorava appena da un anno. Salvatore, fino a quel momento, aveva inviato a sua moglie Rosa, rimasta a Mazzarino, i soldi per sfamare la famiglia, per mandare i figli a scuola e, dopo un annu di patiri, finalmente quelli per acquistare i biglietti del Treno del Sole per poterlo raggiungere in Belgio, assieme ai figli. La moglie Rosa e i sette figli del minatore lasciano così la Sicilia e, con il Treno del Sole, intraprendono il lungo viaggio che li avrebbe riportati a riabbracciare il loro, caro Salvatore. Dopo Villa San Giovanni, però, l'immane tragedia. Rosa apprende in diretta la notizia della morte del marito dalla radiolina di un emigrante conosciuto sul treno che aveva appena varcato lo Stretto di Messina. Nella straordinaria poesia di Buttitta la notizia del crollo della miniera e il telegiornale che annuncia il «primo elenco delle vittime che appartiene ad alcuni nostri connazionali emigrati dalla Sicilia» procura una vera e propria trasformazione simbolica della «vettura» ferroviaria: da camera di transizione, che stava per dischiudere alla famiglia Scordo se non l'anelata fortuna all'estero una spaesata prospettiva di ricostituzione socioeconomica, essa si fa fossa che, in un'alba senza lustru, con quello di Turi Scordo restituisce a Rosa - non più fimmina e né matri - e ai suoi figli - orfani di la matri e di lu patri - soltanto lo schelitru abbruciatu d'ogni progetto di vita futura.
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tratto da http://www.abbruscatonotaio.com/arte/541-nono-salamone-la-voce-del-popolo NONO’ SALAMONE - LA VOCE DEL POPOLOUn brivido. La sensazione di assaporare in un attimo il vero spirito siciliano, di rivivere in pochi minuti la storia di una terra che da un lato dà e dall’altro non concede. Note di chitarra, corde pizzicate per accompagnare una voce che ha ancora tanto da raccontare, tanto da trasmettere alle generazioni di tutti i tempi, per ricordare e per non dimenticare.Dalla sua Sutera Nonò Salamone è costretto a distaccarsi giovanissimo, per andare ”a travagliari unni codda lu suli’ come recita nella sua seconda ballata in lingua siciliana. “Nel ‘71 sono arrivato a Torino, -racconta - dopo una parentesi lavorativa di due anni in Germania e un tentativo di ritorno in Sicilia.” Da allora è rimasto nella città piemontese, dove ha potuto realizzare il sogno di diventare cantastorie. E non solo. “la Piccola ribalta, concorso canoro del 1974, - dice — ho tentato il tutto per tutto. Il direttore d’orchestra era il grande maestro della Rai Marcello De Martino, che mi concesse l’onore di arrangiare le mie canzoni. Iniziai così una nuova awentura, al famoso secondo canale. Presto fui coinvolto anche come attore, in almeno un centinaio di sceneggiati radiofonici e televisivi, con registi che arrivavano quasi sempre da Roma nella sede torinese’Un susseguirsi inaspettato di eventi ben presto lo travolge. È ospitato quasi tutti gli anni a ‘Uno mattina’ e “Cronache italiane”. Partecipa a rassegne musicali nazionali e internazionali. Nel 19g2, al Mondial FoIk di Palermo, vince il premio “Rosa Balistreri’ mentre nel 2007 il premio speciale “Enzo Di Pisa’. AI Beaubourg di Parigi è protagonista dello spettacolo La rivoluzione del cantastorie. La città francese è solo una delle tappe in cui si esibisce per gli emigranti italiani. Germania, Belgio, Svizzera, Inghilterra, America, Canada, Argentina, Cile, sono le altre. Ha inciso decine di dischi ed è stato oggetto di studio di tesi di laurea, Il suo nome figura nelle raccolte della Curcio e della Fabbri Editori, insieme a cantautori del calibro di Domenico Modugno o Roberto Murolo. Ma forse, il successo più grande è l’essere riuscito a seguire le orme paterne...… una marcia in più o una gravosa eredità?“Penso una marcia in più, per aver appreso fin da bambino la tecnica della metrica, il suono della poesia e il suo ritmo. E’ come essere stato cibato da neonato di musica e tradizione popolare. Ognuno di noi è cresciuto e si è formato con quello che i nostri genitori e il nostro ambiente sono riusciti a darci’.A 16 anni lascia Sutera e inizia a girovagare per il mondo: Milano, Germania, Torino. Si spostava già allora in compagnia della sua chitarra?“La chitarra è stata la mia innamorata fin da ragazzino. Mi addormentavo abbracciandola.Oggi per i ragazzi è tutto molto più semplice: una chitarra se la può permettere chiunque. Per me invece è stata frutto di sacrifici e di un lungo periodo di risparmi.Me la sono portata con me a Milano e ai primi guadagni ne ho comprata una più bella e dopo tante altre ancora’.Ha fatto teatro, fiction, cinema: è differente il modo di vivere le emozioni sul palco o ietro la telecamera rispetto a un’esibizione in piazza?Trovo molto più semplice la piazza perché il rapporto con il pubblico è diretto. Si crea una complicità che in televisione non puoi avere perché davanti a te hai le telecamere che ti condizionano. Alla gente si arriva dopo un velocissimo calcolo. Cerchi d9nterpretare e nello stesso tempo pensi che nelle case c’è chi ti guarda e chi ti ascolta, ma non li vedi. Non vedi i loro occhi per capire se arrivi alloro cuore. Puoi solo immaginare! Diventi un calcolatore, una macchina bugiarda e,tanto per essere buoni, un attore che recita o canta calato nella propria parte.Quando è diventato cantastorie?“È successo per caso. Vivendo nell’ambiente dello spettacolo torinese fui segnalato a un regista piemontese in cerca di un attore siciliano che sapesse cantare e suonare la chitarra. Doveva realizzare uno spettacolo sulla poesia del poeta Ignazio Buttitta, Lu pani si chiama pani, e mi interpellò per un provino. Tutto andò alla grande e dovetti musicarne le poesie. Lo spettacolo ebbe grande successo e fu ripreso da Rai 1 con un ampio servizio nel telegiornale.Così conobbi Buttitta, che da quel momento mi volle con sé in tutte le sue manifestazioni più importanti in giro per ‘Italia. Allora in tutti i giornali scrivevano il cantastorie Nonò Salamone e, per essere sincero, ciò mi dava un po’ fastidio. Ma pian piano mi abituai a questa nuova veste professionale al punto che divenne il mio mestiere”.A proposito di Ignazio Buttitta: è vero che lei è considerato il suo erede?“Sentirsi erede di qualcuno credo sia sbagliato. Ogni personaggio è se stesso nel suo periodo. La grandezza di ognuno è stabilita dalle opere e dal ricordo che riesce a dare e a lasciare alla gente. Buttitta, per me, è stato un grande maestro, come lo sono stati Ciccio Busacca, mio padre e mio fratello. Da tutte le persone con cui ho lavorato ho ereditato qualcosa!Oggi, tra i giovani, chi potrebbe portare avanti questa vostra eredità?“In tantissimi iniziano questa difficile arte ma presto si perdono per strada, perché poco viene fatto dai nostri enti e amministratori per incoraggiare chi intraprende questo lavoro.Si dà spazio ad altre cose, vengono spesi tantissimi soldi per cantanti compassati e squallidi, che vivono di rendita per i loro passati televisivi. Così molti si scoraggiamento e pochi resistono’Al Presepe vivente di Sutera, dove si esibisce ogni anno, la sua “cantata” è accompagnata dal “cartellone”, Si tratta di un elemento ricorrente in ogni sua performance? Chi li realizza?“I grandi cartellonisti sono quasi scomparsi. li più importante si chiamava Vincenzo Astuto, morto alcuni anni fa. Ogni cantastorie cerca di arrangiarsi come può. Qualcuno i cartelloni li dipinge da sé, altri trovano un pittore o uno scenografo che, con mano esperta, riesce a crearli nello stile originaria. Ma nei giorni nostri non sono più necessari e’si usano poco, solo come elementi scenografici.In origine, quando ancora non esistevano né radio e nè tv, il cantastorie faceva informazione. Qual è la differenza rispetto ai giornalisti di oggi al di là, ovviamente, del meno usato?“Negli anni passati in pochi sapevano leggere e, tra questi, pochissimi potevano comprare il giornale per tenersi informati. Il cantastorie portava alcune notizie che riteneva meritevoli di grande attenzione e con i cartelloni aiutava la fantasia della gente ad entrare nella storia che raccontava. Oggi la scuota, la televisione, i notiziari, e soprattutto Internet hanno cambiato totalmente il livello culturale di ogni auditore, e il cantastorie è costretto ad aggiornarsi, deve adattarsi ai tempi correnti’ Il suo repertorio è inventato o fa riferimento a tradizioni precedenti?“È misto. Alcune composizioni appartengono alla tradizione, altre sono state scritte da me.Comunicare in versi: dove sta la difficoltà oggi, al tempo dei social network?“Nella mia carriera ho cantato dalle università atte scuole elementari, per ragazzi di ogni età che rimangono affascinati quando scoprono il cantastorie. Vivono un’esperienza nuova e restano incantati dalla semplicità coinvolgente dei racconti. Alla fine mi vengono sempre a salutare, ringraziandomi per quello che faccio, I ragazzi sono onesti e non sanno mentire.Il cantastorie ti compensa dalla tecnologia e dalle troppe stupidate che esistono in giro. Tutti amiamo le cose semplici, dalla buona cucina, alla natura, al cantastorie”,Per concludere, ci regala qualcuno dei suoi versi preferiti?“Certamente, concludo con gli stessi versi con i quali chiudo’ miei concerti.Iu sugnu cantastorie e cantu ancoraFigliu di lii poeta di SuteraA sidicianni mi nni jivu foraE ‘sta chitarra haiu pi turlintanaPicca ni potti sentiri di scolaLa vita l’haiu passatu agnuna agnunaScusati tutti si sbagliavu rimaLa prossima vota vi la fazzu bonaE a tutti dugnu ‘na stritta di manuMi firmu Salumuni e mi nni vaju.a cura di Giusy Fasano |
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