Ritornando alle composizioni scritte da Busacca già pubblicate, vorrei ora esaminare uno dei libretti più interessanti e importanti della produzione del nostro cantastorie, cioè il « Cuntrastu tra la morti e lu miliardariu », composto nel 1969.
Il motivo del contrasto fra la Morte ed un altro personaggio allegorico è stato sempre molto diffuso nella tradizione dei cantastorie, se Alessandro D'Ancona, ha raccolto tre diverse versioni di esso (11): il contrasto fra la Morte e il Semplicista, fra La Morte ed un Guerriero, fra la Morte ed un Vecchio avaro; quest'ultima versione(12) si avvicina di più al nostro testo.
Il poemetto pubblicato dal D'Ancona ha però un andamento del tutto diverso dalla composizione di Busacca, perchè in esso la Morte si limita ad enumerare i nomi dei grandi uomini che essa ha vinto, argomento comune ai tre contrasti e che si trova anche in stampe e componimenti poetici popolari, mentre nei cosiddetti « Trionfi della Morte » o « Danze macabre » ' si fa la rassegna dei gradi sociali ed economici e delle professioni, naturalmente per significare che tutti sono soggetti alla morte.
Nel testo ottocentesco il vecchio avaro ha solo una parte secondaria e passiva e si limita a lamentarsi perchè deve lasciare i suoi possessi. Al contrario, nel testo di Busacca il motore del dialogo è, come vedremo, il miliardario, che tenta in tutti i modi di allontanare un destino già segnato. Dal punto di vista estetico, ritengo la composizione di Busacca superiore al testo ottocentesco, per vigore e vivacità del dialogo.
Peraltro i dialoghi tra la Morte e un personaggio tipico furono popolari anche in Sicilia, e infatti il Pitré potè raccogliere dalla tradizione orale due versioni del contrasto tra « La morte e l'ignorante » (13).
Particolarmente significativo, in uno di questi testi, è un accenno alla ineluttabilità della morte, che non fa distinzione di classe sociale (14):
Morte: O gnuranti, dda (all'altro mondo) tutti aviti a jiri Principi, Papa, Re, omu di Statu!
Affine al contrasto tra il ricco e la morte è anche quello tra l'anima e il corpo, che ha antichissime tradizioni letterarie; di esso recentemente è stata pubblicata una versione in dialetto siciliano (15). Un contrasto tra l'anima e il corpo era diffuso nella tradizione orale proprio a Paternò (16).
Si noti però che il contrasto fra l'anima e il corpo ha carattere morale, mentre le finalità della composizione di Busacca sono, come vedremo, prevalentemente sociali.
Ma veniamo alle sestine di Busacca. L'inizio del contrasto ricorda il famoso « Contrasto di due amanti », meglio conosciuto con il nome di « Tuppi tuppi »: (17).
M. (18) - Tuppi, tuppi. R. - Cu è? M. - La morti sugnu; è giunta l'ura di canciari regnu. R. - Ma iu di la me casa non mi scugnu e nda l'autru munnu non ci vegnu; siddu c'è qualchi tassa di pagari pagu qualunqui summa di dinari.
Il pensiero del Ricco, anche di fronte alla Morte, corre subito al danaro; egli è disposto a pagare qualsiasi tassa pur di rimanere in vita; la risposta della Morte è semplice e decisa (si noti che, dopo la sestina iniziale, i due interlocutori pronunciano ciascuna una sestina per volta):
M. - E' la ricchizza ca ti fa sparrari, iu non accettu nessunu valuri. Sugnu la Morti, e non mi pò cumprari nuddu rignanti e nuddu 'mpiraturi. Iu sugnu la cchiù brutta fra li brutti, ma sugnu onesta e precisa ppi tutti.
Ma il ricco, naturalmente, non si dà per vinto; la sua arma è ancora il denaro, ma, se prima esso veniva usato con una parvenza di liceità (la tassa), in questa sestina è lo strumento di una assurda corruzione:
R. - Pirchissu hai l'ossa sicchi e asciutti, pirchì ccu chiddi ricchi non cuntratti; tu ti farai cchiù grassa di tutti, siddu ccu chiddi ricchi veni a patti; facemu un pattu: un misi di ritardu e pagu ogni ghiornu un miliardu.
La morte segue la terribile logica della disillusione: quel danaro, che sembra tanto importante al ricco, in effetti non ha alcun valore:
Nell'incisione su disco le battute dela Morte sono cantate, quelle del Miliardario declamate.
M. - Li to paroli, amicu, su sbagghiati; li ricchi 'nda stu munnu ricchi siti, ma 'nda lu munnu di la viritati li ricchi mancu un sordu pussiditi; dda siti tutti a lu stissu liveddu, non c'è nè riccu e mancu puureddu.
Questo argomento dell'uguaglianza di tutti, ricchi e poveri, belli e brutti, di fronte alla morte, si trova già nei « Dialoghi » di Luciano (19).
Naturalmente il Ricco non si arrende; egli arriva a rinfacciare alla morte il fatto che, per la sua inesorabilità, è odiata da tutti, specialmente dai ricchi. E la morte:
M. - Lu sacciu, amicu, e non m'importa nenti, ed è pirchissu ca sugnu 'mpurtanti. Non aiu amici e non aiu parenti, ma portu la paura a tutti quanti, speci a li ricchi, c'aviti piccati, ca sariti a lu 'nfernu cunnannati.
Ancora una volta la Morte segue la sua terribile logica: coloro che si sentono importanti perchè ricchi, sono in realtà peggiori degli altri, perchè hanno oppresso e sfruttato il povero, e, mentre credevano di dover godere, saranno condannati a soffrire nell'Inferno (20).
Ma le parole della morte, quasi assurdamente, fanno sperare al Ricco di potere ancora usare la sua arma, la sua forza, il danaro:
R. - Dimmi di cui saremu giudicati, quali sunu l'accusi ca faciti; si nda ddu munnu ci sunu avvucati, iu sugnu certu ca vingiu la liti, e tu lu sai ca ccu li quattrini addiventunu onesti l'assassini.
Per l'ennesima volta la Morte deve disingannare il ricco; il luogo in cui vanno è il regno della giustizia assoluta:
M. - Li hai strammati, amicu, li rutini, forsi pirdisti attunnu la ragiuni. Dda sùpira ci su l'Angili divini, fanu difisi senza miliuni; comu giudici c'è lu Patri Granni, ca sacri e giusti spara li cunnanni.
E il ricco, allora, come un bambino viziato, comincia a fare le bizze:
R. - Allura iu non vegnu a nuddi banni, mancu si comu un passiru mi spinni; iu non ci vegnu mancu su mi scanni, mancu suddu San Petru in terra scinni, ci su tanti malati, ciunchi e storti, pirchì non ti li pigghi e ti li porti?
Ma la Morte non risponde nemmeno a questa domanda del Ricco; essa lo incoraggia soltanto ad intraprendere l'ultimo viaggio. Il Ricco è ormai allo stremo: non può far altro che chiedere una proroga, appena il tempo di sistemare i suoi affari:
R. - E comu fazzu a lassari li vigni? Comu fazzu a lassari 'sti campagni? Li iurnateri mei, farsi e maligni, si manginu li utti e li timpagni. Dammi lu tempu almenu ca sistemu li cosi cchiù 'mpurtanti, e poi partemu.
Ma la Morte, inesorabile, invita bruscamente il Ricco a sbrigarsi; i suoi fratelli, anch'essi condannati a causa della loro avarizia, lo attendono, perchè li aiuti «a fari pinitenza».
E finalmente il ricco si arrende, ma non smette di minacciare:
R. - ....Duranti stu viaggiu ti supportu, ma, quannu arrivamu, mi mettu a rapportu.
E a questo punto la morte perde completamente la pazienza, e annunzia al Ricco che lo porterà direttamente all'Inferno senza ascoltare il giudizio divino:
M. - Fai l'insistenti finu dopu mortu? Ormai finisti di fari lu spertu! Senza sintenza a lu 'nfernu ti portu, ca lu purtuni lu truvamu apertu; sì cunnannatu 'nzemi a li tò frati e 'nzemi vi scuntati li piccati.
In mezzo ai tormenti dell'Inferno, il Ricco, con un tratto che lo fa rassomigliare al ricco Epulone della parabola evangelica (21), si rivolge a coloro che sono ancora in vita perchè non seguano il suo esempio:
R. - Parenti e amici, ascutati, ascutati! Mentri ca 'nda sta terra vivi siti, faciti beni a tutti l'affamati, ca dopu morti cumpinzati siti; datici aiutu a lu debbuli affisu, ca murennu trasiti 'n-Paradisu!
Naturalmente, secondo la tipica tecnica dei cantastorie, la composizione si chiude con la «morale», pronunciata dal cantastorie:
Spirannu, amici, ca fussi cumprisu, stu gran duellu lu dichiaru chiusu; lu ricchu nda lu 'nfernu vinni misu, pirchì supra la terra fu schifusu. Faciti beni mentri siti vivi, 'nnunga Busacca vi svirgogna e scrivi.
Accanto alla minaccia di una punizione ultraterrena, di tono profondamente religioso («E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli ») (22), è dunque presente anche la punizione terrena (« Busacca vi svirgogna »). Infatti, il fine della composizione è principalmente sociale; al cantastorie interessa porre sotto accusa l'oppressione e lo sfruttamento, su cui si fonda la ricchezza, e darne una decisa condanna morale.
Ma anche dal punto di vista estetico questo contrasto è molto interessante. Soprattutto la figura del ricco è tratteggiata con una vivacità veramente notevole; quanta verità, in quel suo incaponirsi, minacciare, pregare, chiedere proroghe! Al confronto, la Morte riesce personaggio un pò freddo, troppo emblematico, e quindi senza la varia psicologia del Ricco.
Come accennavo precedentemente, anche come poeta lirico Busacca ha pregi notevoli.
(11) A. D'ANCONA, Poemetti popolari italiani, Bologna 1899, p. 134 e ss.
(12) « Dialogo curioso e dilettevole che fa la morte con un vecchio avaro, fatta dal Menchi di Cireglio », edito a Lucca, non dopo, a quanto pare, del 1820 (A. D'Ancona, op. cit., loc. cit.).
(13) PITRÉ' op. cit., vol. II, p. 400, n. 972; p. 402 n. 973.
(14) PITRÉ' op. cit., vol. II, n. 973, p. 403 vv. 21-22.
(15) M. RACITI, Un contrasto dell'anima del corpo in dialetto siciliano, in « Studi in onore di Carmelina Naselli », Catania 1968, pp. 319-360.
(16) M. RACITI op. cit. p. 358, nota 60.
(17) PITRÉ', op. cit., pp. 372-374, n. 969.
(18) Le indicazioni dei personaggi che pronunziano le battute mancano nel libretto a stampa, invece si trovano in un manoscritto autografo di Busacca, ora in mio possesso, dove appunto si trovano le sigle R (ricco) e M (morte). Ho avuto presente il manoscritto anche per quanto riguarda la grafia ed alcune varianti; in esso, il contrasto è intitolato « Lu riccu putenti e la morti pricisa ».
(19) LUCIANO, «Dialoghi dei morti», I (Diogene e Polluce), II (Creso, Plutone, Menippo, Mida e Sardanapalo) ecc.
(20) Sul giudizio divino si veda: M. RACITI, op. cit., p. 348 ss. (ma nel testo di Busacca non si fa cenno del libro dei peccati, menzionato invece nel contrasto tra l'anima e il corpo).
(21) LUCA, XVI, 19-31.
(22) MATTEO, XIX, 24.
(23) Senza andare a scomodare il contrasto giullaresco « Rosa fresco aulentissima », basterà consultare la raccolta di canti popolari del Pitré nella sezione « Bellezze della donna » (Pitré, op. cit.; p. 182, n. 12, p. 183, n. 14; p. 201, n. 57).
La metafora del fiore ritorna peraltro in due begli strambotti, uno « d'amuri » e uno « di sdegno », ma in essi sembra essere piuttosto un bisticcio con il nome della donna amata:
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